È la prima volta che la società civile italiana presenta un rapporto ombra e partecipa alla sessione di valutazione, siamo state presenti in tre, due rappresentanti di Fondazione Pangea e una di Giuristi Democratici. Per noi è stata un’emozione non da poco essere lì! La piattaforma ha fatto uno sforzo enorme, sia economico (dobbiamo ancora pagare i traduttori e non sappiamo come fare) che di impegno e di coordinamento! Abbiamo lavorato per giorni interi facendo nottate, abbiamo tolto tempo ai nostri cari, ai figli, al nostro sonno, pur di dire “noi ci siamo e non siamo contente di come state lavorando si deve fare di più per i diritti e la partecipazione delle donne e non solo”. Il rapporto, elaborato ha raccolto l’adesione di oltre 120 organizzazioni della società civile sia nazionali che locali e centinaia tra di singoli donne e uomini, creando un comune denominatore tra tante realtà molto diverse tra loro.
Il messaggio deve essere chiaro, non stiamo parlando male del ministero pari opportunità, anzi, stiamo parlando dei problemi strutturali nel riconoscere in ogni ministero e al governo, un approccio di genere che sia inserito nelle politiche e nella loro applicazione.
I rappresentanti del governo hanno risposto alle domande del Comitato CEDAW alle Nazioni Unite per quel che hanno potuto ma non sono stati in grado di dare informazioni esaustive in diversi punti critici. Molte domande sono rimaste inevase. Avanzare il pretesto dei problemi di budget per giustificare la non applicazione di politiche inclusive delle donne non può essere utilizzata perché molte azioni possono realizzarsi senza intaccare il bilancio, anzi, utilizzare un approccio di genere potrebbe rendere molto più efficiente l’allocazione delle voci della spesa pubblica permettendo l’inclusione delle donne in ogni settore e l’accesso ai loro diritti al pari di quelli degli uomini. Lo smalto che ha perso l’Italia nei contesti internazionali è anche dovuto al fatto che non si rispetta mai lo standard internazionale richiesto, siamo tra gli ultimi nelle classifiche europee che indicano quanto un paese sta progredendo, e, pur essendo tra i paesi del G8, non siamo di esempio per gli altri perché non applichiamo molte delle direttive europee che ci renderebbero più credibili davanti alle Nazioni Unite. Un esempio? La l.188/2007 sulla base di una direttiva europea aiutava a contrastare la pratica delle dimissioni in bianco sopratutto per donne in maternità ed è stato uno degli atti abrogati dal governo nel 2008. Noi donne garantiamo il ricambio generazionale per la società italiana, mettendoci il nostro sforzo fisico, psicologico, emotivo perché incinte, e dopo abbiamo una buona possibilità di restare a casa, senza possibilità di scegliere e tornare a lavorare, come il diritto alla salute riproduttiva che si sta sempre più restringendo in tutte le regioni. Quanto ancora dovremo aspettare? In Italia le donne contano oltre il 53% della popolazione, e una democrazia di solito è rappresentata dalla maggioranza. Basterebbe applicare l’art.51 della Costituzione per avere più donne in politica. Siamo noi a laurearci di più e con i migliori voti, ma solo il 14% delle donne è professore ordinario all’università. Poco meno di una donna su due lavora, a sud una su tre, le altre perdono la speranza e non cercano neanche lavoro. Lo sforzo delle politiche va nella direzione di rimettere a casa, ma forse il governo non ha capito che i tempi sono cambiati e che saremo noi, che da secoli sopportiamo le maggiori sofferenze e perdite, che siamo il fattore di sviluppo e progresso per garantire a tutti il pieno godimento della vita. A questo punto aspettiamo con ansia un incontro con i rappresentanti del governo italiano e di avviare un dialogo costruttivo, per cercare di cambiare, insieme, il presente e il futuro delle donne in Italia. Donne yes we can!
Simona Lanzoni, Barbara Spinelli, Claudia Signoretti per la piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”