Apprendiamo con gioia un nuovo passo avanti dell’Emilia-Romagna verso un maggiore accesso non solo all’Interruzione Volontaria di Gravidanza ma anche alle possibilità di decidere liberamente come abortire.
Con una determina del 9 ottobre, infatti, la Regione si impegna da Gennaio 2025 a garantire l’assunzione della seconda pillola (il misoprostolo) a domicilio con la consulenza in telemedicina ed a estendere l’impiego dell’aborto farmacologico da 7 a 9 settimane in tutti i regimi, non solo ospedaliero, ma anche in consultorio e a domicilio), ovvero ad adottare finalmente, dopo 5 anni, le linee di indirizzo del Ministero della Salute pubblicate nel 2020.
Certo siamo content3, ma non ci accontentiamo!
Sono davvero necessari 2 accessi in consultorio o ambulatorio per un aborto farmacologico a domicilio? o 3 accessi per un aborto farmacologico ambulatoriale? Chiediamo che almeno, come avviene già per esempio nella Regione Lazio, non sia obbligatorio il controllo successivo all’assunzione del misoprostolo e che, in linea con le indicazioni internazionali, basti un esame del sangue per la valutazione delle beta HCG dopo 15 giorni a garanzia della buona riuscita della procedura. Essere obbligat3 a un ulteriore accesso nel presidio sanitario potrebbe essere di ostacolo per esempio per le persone che si sono dovute spostare di territorio o di regione per abortire.
Vogliamo che sia superato il linguaggio binario con cui si parla di aborto in Regione: non solo le donne abortiscono, anche le persone trans e non binarie! Smettere di invisibilizzarle, nominarle è un primo passo per evitare discriminazioni ulteriori a fronte di un diritto che già di per sé è ampiamente osteggiato.
Dal 2020, anno della pubblicazione delle linee guida del Ministero, sono stati fatti molti progressi per garantire una migliore accessibilità all’aborto farmacologico, ma non in Italia. Pretendiamo che, come da linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2022, l’Italia si avvicini agli standard internazionali con l’estensione dell’aborto farmacologico fino alla 12esima settimana e che sia possibile somministrare tutta la procedura a casa (quindi anche il mifepristone). La richiesta di certificato medico di IVG continua a rappresentare una barriera che ereditiamo dalla legge 194, già che dal punto di vista clinico non è necessario e allunga solamente i tempi.
I saperi creati e condivisi dai movimenti sono molti, e come più volte successo siamo disponibili a incontrarci con consultori e AUSL per creare guide o materiali informativi utili per chi decide di abortire a domicilio, come per esempio la nostra guida, attualmente in fase di aggiornamento e in uscita prossimamente.
Questa determina è un passo necessario ma non esaustivo. Si iscrive all’interno di continui tagli alla sanità, ai presidi sanitari e al personale sanitario.
Quando parliamo di aborto, e più in generale di salute, non ci accontentiamo di una moltiplicazione dei servizi pubblici, ma vogliamo che si metta al centro l’idea di benessere e salute transfemminista che garantisca cura, attenzione, ascolto, senza stereotipi, paternalismo, pregiudizi e discriminazioni transfobiche ma anche abiliste, razziste e grassofobiche. E vogliamo che questi passi avanti riguardino tutt3, veramente tutt3. A oggi, infatti, sono ancora enormi le differenze di accesso alle cura tra città e periferia; tra nord e sud Italia, tra persone bianche e persone razzializzate che subiscono l’atteggiamento coloniale, che si aggrava quando i documenti sono un ulteriore ostacolo; tra donne cis e persone trans e non binary; tra chi è sul territorio e chi si trova a fare un IVG alle frontiere. A tutto ciò aggiungiamo un altro faticoso elemento che è quello del paternalismo medico fatto di ramanzine, narrazioni colpevolizzanti e traumatizzanti. Abbiamo bisogno di informazioni, ascolto e di tempo non di opinioni non richieste egoriferite: ad abortire siamo noi e noi decidiamo che cos’è il nostro aborto.
Insieme al monitoraggio delle asl come Mujeres libres ci impegnamo a supportare i racconti di aborto che vogliono farsi sentire, per condivisione, per rompere lo stigma, per rivendicare ancora maggiori servizi e maggiore possibilità di scelta. Ci impegniamo inoltre a dare supporto con gli accompagnamenti all’ivg cosicché confronto e sorellanza non manchino, anche per chi sceglie di assumere il misoprostolo a domicilio, o che vorrebbe farlo ma non vive in un contesto sicuro. Continueremo inoltre ad impegnarci per combattere una cultura fascista e vittimizzante verso tutte quelle che vogliono autodeterminarsi. Anche quando l’ultimo provita e obiettore spariranno dalla faccia della terra sappiamo che con loro non sparirnno lo stigma e la narrazione traumatica dell’ivg, ci impegneremo quindi a scardinare ogni briciola della loro retorica patriarcale.
Se aborto vuol dire salute, benessere cura e autodeterminazione lo vogliamo per tutte: l’aborto è una lotta senza confini e transnazionale. Aborto libero nelle frontiere, in ogni stato, in ogni casa.