La transfobia uccide. A volte si tratta di transicidio, altre di violenza quotidiana, strutturale.
L’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza per le persone trans e gender non conforming è impregnato di violenza transfobica.
Agli impedimenti che già ben conosciamo dovuti all’alto tasso di obiezione di coscienza e all’obiezione di struttura, al paternalismo e all’infantilizzazione, alla presenza degli antiabortisti dentro e fuori i luoghi in cui si effettuano le IVG e alle violenze ginceologiche e ostetriche, si aggiungono ulteriori ostacoli specifici che colpiscono le persone trans, intersex e non binary che vogliono abortire.
Le donne cis eterossessuali bianche e abili devono fare figli per la patria, ce lo dice Meloni finanziando la presenza degli antiabortisti nei consultori e bonus a sostegno delle famiglie con requisiti di accesso che di fatto escludono molte persone senza la cittadinanza italiana.
Al contrario le donne disabili e razzializzate è meglio che i figli non li facciano, perché non se ne sanno prendere cura, perché ne hanno già troppi. Su di loro il colonialismo e il controllo del corpo è ancora ben presente, così come la propaganda della sostituzione etnica.
E le persone trans, intersex e non binarie?
Delle persone trans* che hanno una gravidanza o decidono di interromperla si parla poco e male.
Per molto tempo in Italia e, nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo l’abbia dichiarata una pratica che viola i diritti umani, è così ancora oggi in molti stati europei, per procedere alla rettifica anagrafica era necessario sottoporsi a interventi di sterilizzazione.
Le persone trans* sono cancellate e invisibilizzate dal sistema sanitario che si occupa di aborto.
Non compaiono nella legge 194 e, come abbiamo denunciato pochi giorni fa, neanche nella nuova determina della regione Emilia-Romagna sull’aborto a domicilio.
Non sono previste nelle modulistiche declinate unicamente al femminile e di conseguenza nei dati statistici che vengono raccolti.
Non sono nominate nelle informazioni diffuse dalle ASL su come accedere all’aborto nei territori.
I corpi delle persone trans e le loro specificità non sono conosciuti dal personale sanitario e nei consultori e negli ospedali spesso non sono previsti percorsi differenziati e spazi sicuri.
Pretendiamo che le persone trans decidano autonomamente sul proprio corpo e sulle proprie scelte sessuali e riproduttive, chiediamo che ci siano informazioni accessibili e inclusive sull’aborto e che si usi un linguaggio non discriminatorio che faccia attenzione ai pronomi e all’uso degli alias, vogliamo che il personale sanitario sia formato e che nei luoghi in cui si praticano le IVG siano presenti anche endocrinologhx, esigiamo che ci siano spazi sicuri per le persone trans* all’interno dei presidi sanitari.
Combattiamo per una sempre maggior diffusione dell’aborto farmacologico, nei consultori e anche a domicilio, perché crediamo che questo possa modificare il rapporto di potere tra chi vuole abortire e il personale medico-sanitario.
Riteniamo fondamentali le consultorie e le realtà che si occupano di accompagnamento all’aborto in quanto spazi di ascolto, di accompagnamento, di supporto, di raccolta di dati e testimonianze, di denuncia degli ostacoli e di ripensamento delle pratiche abortive.
Negare cure inclusive è violenza di genere e violenza transfobica.
Lottiamo perché la salute riproduttiva riguardi veramente tuttx e metta al centro l’autodeterminazione di ogni persona.