UNA BATTAGLIA E’ VINTA, MA IL NOSTRO ATTACCO NON SI FERMA

È di pochi giorni fa la notizia dell’aggiornamento delle linee guide per l’utilizzo della  Ru486 che permette alle donne di poterne usufruire fino alla nona settimana, non più fino alla settima, e di evitare in tutta Italia il ricovero in ospedale.
Ci viene da dire con un po’ di sollievo ERA ORA!

Questo adeguamento avviene sulla scia di anni di lotte e rivendicazioni dei movimenti  femministi, prima perché si legalizzasse l’aborto, poi perché si eliminasse l’obiezione di coscienza e lo stigma. Le lotte di piazza, le assemblee, le pratiche di solidarietà e sorellanza femminista sono state il motore per questo cambiamento, che è una piccola parte di ciò che vogliamo ottenere. Perché noi vogliamo tutto e non ci stancheremo di pretenderlo.
Ricordiamo inoltre che in altri paesi europei queste disposizioni erano già attive e l’Italia, che ha solo motivi politici per osteggiare l’accesso all’ IVG [Interruzione Volontaria di Gravidanza], era ovviamente rimasta indietro.

Ci occupiamo da anni di aborto in Emilia-Romagna e non solo, con il monitoraggio, con la lotta ai no choice, con l’ascolto e il supporto a chi decide di abortire e possiamo dire che per tante è un’esperienza positiva, di vera e propria pratica di autodeterminazione della propria vita, o più banalmente una via da percorrere. Durante l’emergenza sanitaria abbiamo constatato che ridurre i passaggi per l’aborto è possibile. Così come  probabilmente era già possibile da tempo passare da 7 a 9 settimane il limite per la somministrazione della Ru486.

La Ru486 è indubbiamente meno invasiva di un intervento chirurgico e se il servizio sanitario funzionasse come dovrebbe, ogni persona sarebbe adeguatamente monitorata senza essere esposta ad alcun rischio per la propria salute. Sono minori anche i costi per il sistema sanitario che a oggi regge a mala pena (il che si riversa non solo nelle carenze
di strutture ma anche nell’assenza di personale in grado di seguire correttamente tutte le persone che hanno bisogno di cure o supporto). Salutiamo quindi positivamente questo aggiornamento che renderà un po’ più facile la scelta di molte donne.

Certo è che la situazione in Italia rimane grigia. Il livello di obiezione di coscienza è elevatissimo, e noi che siamo in Emilia, una delle regioni considerate tra le meno colpite,  sfioriamo il 60%. Ricordiamo che in Italia ci sono zone dove l’obiezione si aggira intorno al 90%, dove abortire una volta eseguiti i passaggi preliminari (certificato medico, test delle urine, richiesta o meno dei 7 giorni ecc…) non è scontato perché non ci sono medici che garantiscono il sevizio. Chi sono gli obiettori infatti? Sono medici pagati come gli altri che però si rifiutano di fare una parte del loro lavoro. Motivi etici religiosi dicono loro, motivi economico politici diciamo noi. Purtroppo dietro i loro giochini ci sono le vite di tantissime donne che si ritrovano costrette ad un’ansia terribile i giorni prima dell’IVG o addirittura sono costrette a cambiare città. O peggio, a ricorrere all’aborto clandestino che in Italia per via dell’obiezione di coscienza e per una scarsa informazione ancora è praticato, e non tutte riescono a farlo in sicurezza. Infatti praticare l’obiezione di coscienza non significa che avvengano un minore numero di aborti (cosa non comunque auspicabile, poiché costringere una donna a una gravidanza indesiderata è una violenza inaccettabile) bensì significa mettere in pericolo la vita e la salute delle donne. Aborto clandestino spesso significa morte o gravi complicazioni e conseguenze per la salute delle donne. Dove  l’aborto è illegale, e in Italia prima che fosse legalizzato, le donne che non potevano pagare costose cliniche private o viaggi all’estero morivano su qualche tavolo di mammana o di medici improvvisati. L’obiezione di coscienza mette a rischio la salute delle donne, e, essendo l’IVG un servizio alla salute tutelato legalmente, questo è inaccettabile.

E se domani scomparissero tutti gli obiettori?
Beh non potremmo comunque cantare vittoria perché tra i vari ostacoli  all’autodeterminazione uno dei più ingombranti è lo stigma che accompagna le donne che vogliono abortire. Questa è una questione che non riguarda solo l’ambiente cattolico.  Rifiutiamo quei discorsi retorici che negano la legittimità della scelta di non volere un/a figlio/a e che legano necessariamente la volontà di abortire a condizioni materiali sfavorevoli come l’indigenza o la precarietà lavorativa. Ci sono donne che anche con un un buon lavoro e una buona situazione relazionale non vogliono procreare, quindi basta con la classica frase “Eh ma magari se ci fosse stata un’altra situazione..” che può solo
generare solo dell’inutile senso di colpa. Si abortisce anche semplicemente perché si è rimaste incinte senza volerlo, e bisogna essere libere di farlo, libere da impedimenti materiali, libere da giudizi e condizionamenti esterni.
E’ molto difficile fare comprendere alla maggioranza delle persone che si può abortire perché semplicemente non si vogliono avere figli, o che si può stare benissimo anche dopo l’IVG. Per molte persone (e non parliamo di ferventi cattolici o religiosi, ma di persone comuni, laiche, anche giovani) se le donne vogliono avere il diritto di scelta sui propri corpi, la colpa deve comunque essere una costante che si accompagna all’IVG. Non è comprensibile a molt* che una donna possa affrontare tale esperienza con serenità. Rispediamo al mittente tutta la storiella dell’aborto come trauma che ritorna. Traumatico è dover ricorrere all’aborto clandestino, dover emigrare se si rimane incinta, avere il panico per una gravidanza indesiderata e quindi una vita, la propria, rovinanata.              Noi sì siamo per la vita, pro life all’ennesima potenza se la vita da tutelare è quella delle donne, sul cui corpo non ci deve essere Stato o obiettore a metter bocca.

Non sono mancanti in questi giorni gli attacchi all’aggiornamento delle linee guida  succitate, cosa che non ci sorprende minimamente. Siamo ben consapevoli di come i movimenti no gender legati all’estrema destra in Italia si stiano rafforzando spargendo idee omofobe e misogine, passando quando serve all’azione, dai pestaggi al blocco di iniziative che possono mettere in difficoltà la famiglia tradizionale. Sappiamo chi sono e
sappiamo dove sono e non smetteremo di osservarli e combatterli.
Ne approfittiamo per ribadire che la battaglia per l’autodeterminazione dei corpi riguarda tutt*. Quando si parla di ingerenza neofascista e cristiana nelle nostre vite siamo tutt* sotto attacco. Non esistono questioni che riguardano solo le donne, solo migranti, solo lgbtqi+. Nessuna persona si senta esclusa o al riparo. Le ingerenze fasciste possono assumere la forma di un accoltellamento, o di un laboratorio per bambin* in una scuola pubblica, di un’educazione che non promuove valori di libertà e autodeterminazione, o di un’iniziativa per famiglie tutt’altro che innoqua.

Vogliamo la Ru486 ancora più accessibile, le bocche cucite di chi ci vuole far sentire sbagliate, l’estinzione degli obiettori di coscienza, un’educazione alla sessualità,  all’accettazione di sé stessi e non gabbie che costringono i più piccol* abituandol* all’addomesticamento.
Vogliamo tutto… adesso ancora di più.

Mujeres Libres Bologna