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Il 28 settembre, giornata internazionale per l’aborto sicuro, abbiamo partecipato alla mobilitazione lanciata da Non una di Meno Bologna con l’intervento che segue
Ieri era il 28 settembre, la Giornata internazionale dell’aborto libero, sicuro e gratuito, una giornata riconosciuta e istituita grazie ad anni di azioni e mobilitazioni di piazza in Sudamerica e Caraibi per chiedere la depenalizzazione dell’aborto, ma anche e sopratutto grazie a percorsi di condivisione di saperi, discorsi e strategie di lotta e di resistenza e dalla messa in atto di pratiche di mutualismo dal basso tra donne e libere soggettività.
Il 28 settembre, per noi non è solo una giornata di denuncia, ma soprattutto una giornata per invitare tuttɜ alla resistenza, attraverso la narrazione collettiva dell’esperienza dell’aborto, l’organizzazione di pratiche dal basso, la creazione di discorsi e immaginari da praticare nel peggiore dei mondi possibili lottando fino a riuscire a ottenere il migliore dei mondi possibili in cui l’aborto sia una pratica accessibile e sicura per tuttɜ.
Ormai da qualche anno come movimenti transfemministi in Italia e nel mondo abbiamo assunto il 28 settembre come data fondamentale del nostro calendario politico.
L’abbiamo fatto in un periodo in cui gli attacchi all’autodeterminazione erano crescenti, ma mai quanto ora, in cui al governo l’estrema destra tiene a braccetto razzismo e sessismo.
Non è il momento di piangerci addosso: ora più che mai è il momento per un’autocritica cosruttiva e per ripensare le nostre azioni affinche tornino ad essere sempre più politiche e sempre meno strategiche.
Abbiamo bisogno di guardare oltre i nostri specchi e lasciare spazio a relazioni e progetti basati su un approccio federalista e non estrattivista o egemonico.
Non avevamo tempo da perdere prima figuriamoci adesso!
Senza continuare a trascinarci in retoriche trite e ritrite è più che mai urgente guardarci in faccia con molto umiltà e per capire come agire nel quotidiano per essere protagoniste di un cambiameto radicale.
Partiamo quindi da noi, dalle nostre pratiche con uno sguardo il meno ideologico possibile:
-Supporto all’ IVG
La retorica e la narrazione di donne mangiate dalla sofferenza per arrivare a compiere questa scelta popola lo stigma che subiamo e le narrazioni sull’aborto che ascoltiamo costantamente. È proprio in questi contesti che le pratiche di mutuo aiuto ricoprono un ruolo fondamentale e rappresentano una vera e propria resistenza!
E su questo l’attuale governo di estrema destra in Italia non ci coglie impreparate: gia da tempo monitoriamo i consultori , produciamo la controinformazione necessaria (attraverso una guida pratica all’IVG), mappiamo gli obiettori, creiamo pratiche di supporto, ma siamo anche pronte a gridare le nostre rivendicazioni davanti a consultori e ospedali, a non dare tregua ai tribunali, alle istitituzioni, ai comuni , alle province che limiteranno l’accesso ad un aborto sicuro e autodeterminato.
È da marzo 2020, nel pieno dell’emergenza sanitaria, che come Mujeres Libres abbiamo deciso di mobilitarci per supportare e sostenere tutte le persone che scelgono di intraprendere un’interruzione volontaria di gravidanza, sul cui iter procedurale la crisi pandemica ha gravemente influito. Ci si può rivolgere a noi tramite i nostri canali e si riceveranno informazioni chiare e lineari sull’ivg oltre che supporto e sorellanza.
Le nostre pratiche di mutualismo nascono dall’esigenza di metterci al servizio di chi ha un timer sulla testa perché in Italia si può abortire entro i 3 mesi. I consultori non sono in grado di dare il gisuto suppporto per mancanza di personale, certo, ma anche perché il nostro benessere non è tra le priorità. Non ci piace molto l’esaltazione della solidarietà a tutti i costi perché il mutualismo è una cosa concreta che non deve essere percepita come straordinaria ma come ripetibile da tuttɜ. Abbiamo la pazienza necessaria per non perdere di vista i racconti che ci giungono dalle testimonianze, i risultati dei dati sull’IVG che ci dobbiamo procurare da sole, così come la rabbia di chi sa che il mutualismo senza conflitto non soddisfa. Vogliamo un aborto felice per tuttɜ e nn solo per chi è dentro bolle politiche o amicali, vogliamo una salute pubblica che non sia elitaria e borghese ma una possibilità popolare per tuttɜ: lottiamo per una società transfemminista non per i privilegi di poche.
-Colazioni e contestazioni nogender
Ieri [27 settembre] siamo state davanti all’ospedale Sant’Orsola per riprenderci lo spazio che ogni mercoledì mattina un gruppo di preganti antiabortisti della Papa Giovanni XXIII occupa per recitare macabre preghiere contro l’autodeterminazione di chi sceglie di abortire. Degli antiscelta non ne possiamo più e non vogliamo più vederli né dentro né fuori gli ospedali e i consultori.
La lotta contro i preganti al Sant’Orsola è iniziata anni fa: eravamo poche e con il solo aiuto di pochɜ compagnɜ solidalɜ. In breve siamo cresciute e sul marciapiede alle 7 del mattino non ci stavamo più da quante eravamo. I preganti sono stati fatti spostare in un posto meno visibile certo, non sono stati cancellati dalla faccia della terra, come avremmo voluto, ma sicuramente la nostra determinazione ha tolto loro terreno per le loro violenze e soprattutto creato nuovi spazi di azione.
Venendo dagli ambienti antifascisti in cui il monitoraggio e l’azione diretta sono pratiche fondamentali, oggi conosciamo molto meglio le realtà no gender e siamo sempre più preoccupatɜ dell’accoglienza che hanno in molti settori nella società civile. Il nostro invito è sempre quello di diffidare di chi parla di famiglia e natalità o vita: i concetti neutri non esistono, al contrario esistono fascisti mascherati da suore o protettori di bambini. I fascisti, tutti i fascisti, devono essere spazzati via: non c’è spazio per la mediazione con chi ci vuole schiave o morte.
Le reti internazionali dei no gender sono solide: i legami tra Putin e le realtà degli antiscelta sono ben saldi e che ci piaccia o no solidarizzare con chi resite all’invasione dell’Ucraina è anche combattere contro i nuovi fascismi. In Italia i no gender attraversano i palazzi del governo e anche l’Emilia-Romagna di Bonaccini, in cui, nonostante sia narrata come paradiso socialista, gli obiettori non mancano.
Secondo i dati della mappatura fatta dal basso nel 2020, proprio al Sant’Orsola, 7 medici su 10 sono obiettori. Su 38 ginecologi 27 sono obiettori di coscienza, il 71%! Questi dati sono allarmanti ma non sorprendenti, sappiamo bene che anche nella città “più progressista d’Italia” l’accesso all’aborto è un percorso ad ostacoli: a partire dalla difficoltà nel reperire informazioni chiare, alle costrizioni di tempo imposte dalla legge fino alla presenza di personale medico sanitario obiettore negli ospedali. La narrazione fortemente stigmatizzante, che vuole raccontare l’aborto come esperienza traumatica e necessariamente dolorosa, non si basa su delle verità medico scientifiche, ma su strumentalizzazioni di matrice cattofascista, di chi questa libertà di scelta ce la vuole negare. Una pratica che dovrebbe essere garantita come procedura medica dalla legge ed eseguita come tutte le altre presenta invece un articolo che permette al personale medico-sanitario di negarci questo diritto. L’obiezione di coscienza però non è un “gioco alla pari”, la loro scelta di non adempire a un loro dovere è la negazione della nostra scelta di decidere sui nostri corpi. Non a caso infatti questo diritto è costantemente sotto attacco, perchè un attacco all’aborto è un attacco diretto alla nostra autodeterminazione.
Dal 2012 abbiamo lanciato la campagna #abortiscoenonmipento nata dalla necessità di sovvertire la narrazione colpevolizzante e drammatica dell’IVG e di dare visibilità ai percorsi di tuttɜ coloro che hanno dovuto subire lo stigma e vedersi ostacolatɜ dalla presenza degli obiettori. Recentemente abbiamo realizzato il secondo volume che raccoglie le testimonianze di tutte le soggettività che hanno abortito e hanno vissuto questa come un’esperienza in cui autodeterminazione e liberazione. La fanzine nel raccogliere le testimonianze vuole anche essere strumento di denuncia della violenza ginecologica subita.
L’aborto non è un tema, ma è lotta, esperienza di vita, autodeterminazione.
Guardiamo con sospetto e diffidenza chi estrae dalle lotte dal basso prodotti culturali, accademici, e social invisibiliazzando chi lotta ogni giorno. Riguardiamoci e andiamo oltre il nostro ombelico. Partiamo dalla nostra bolla per andare oltre. Non possiamo essere il limite di noi stessɜ. È necessario costruire nuovi legami e nuovi immaginari. È necessario leggere e leggerci, parlarci e soprattutto ascoltarci. Chi immaginiamo come possibili alleate? Consultori autogestiti, realtà che si occupano di salute e benessere dal basso, personale sanitario in lotta nei propri presidi perché sappiamo bene che la sanità pubblica merita salari dignitosi e personale che abbia mezzi e risorse per formarsi: la violenza ostetrico-ginecologica la dobbiamo combattere insieme facendo dell’intersezionalità una cosa concreta.
Ne approfittiamo per rilanciare la nostra solidarietà a tutte le persone che lavorano nel mondo dell’educazione e del terzo settore dove, ahinoi, le infestazioni no gender sono all’ordine del giorno: non lasciamo sole maestre e operatrici di fronte all’ambiguità del valore della famiglia e dell’accoglienza, non lasciamole sole quando propongono un’educazione transfemminista che purtroppo risuona ancora come un’eccezione. Abbandoniamo pose iper militanti a favore di reti affettive e politIche in grado di produrre relazioni là dove c’è solitudine e fascismo.
-Abortion Roads
In Italia il diritto all’aborto dovrebbe essere garantito dalla legge 194. L’impianto stesso della legge 194, che in Italia regolamenta l’accesso all’IVG, è completamente proiettato alla “tutela sociale della maternità” e non garantisce quindi alle persone che vogliono abortire il diritto di scegliere sul proprio corpo ma “concede” questa possibilità a determinate condizioni rendendo nei fatti quello che dovrebbe essere un diritto e una pratica medica accessibile a tuttɜ, un vero e proprio percorso ad ostacoli, costellato troppo spesso da stigma e da protocolli applicati in maniera disomogenea a livello regionale ma anche all’interno della stessa regione. Uno degli esempi più allarmanti della mancata applicazione della legge è la regione Marche, dove nel 2022 il tasso di obiezione di coscienza è salito all’80%. La presenza massiccia di obiettori costringe le persone a spostarsi in un’altra città o addirittura in un’altra regione rendendo l’aborto di fatto un privilegio. Con la sorellanza e il mutualismo le reti tranfemministe aiutano chi lo desidera a spostarsi per accedere all’IVG.
Per questo motivo abbiamo lanciato la campagna Abortion Road: per raccogliere informazioni e visibilizzare questo fenomeno inaccettabile.
Nel corso della nostra attività di collettivo, abbiamo toccato con mano la frustrazione di chi è costrettə a trasferte assurde, costose e solitarie per vedersi riconosciuto un diritto. Segnaliamo l’importante lavoro fatto da Medici nel Mondo sulla Ru486 Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali in Italia al quale abbiamo partecipato molto volentieri.
–Solidarietà internazionale
Oggi è la giornata INTERNAZIONALE dell’aborto libero, sicuro e gratuito perché questo diritto e la lotta per questo diritto non hanno frontiere.
Noi lotteremo e abortiremo sempre e ovunque.
In Italia, dove l’apparentemente subdola obiezione di coscienza nega questo diritto, noi abortiremo.
In Polonia e in Ungheria, dove le restrizioni aumentano e negano questo diritto, noi abortiremo.
Negli Stati Uniti, dove l’aborto non è più un diritto costituzionale, noi abortiremo.
In Nicaragua e in El Salvador, dove l’aborto è un reato grave come l’omicidio, noi abortiremo.
Sappiamo bene che dove l’aborto è criminalizzato non ne vengono eseguiti di meno, ma più donne muoiono nel tentativo di abortire.
Sappiamo che neanche dove l’aborto è legale questo diritto è pienamente garantito, quindi sappiamo che dobbiamo tenere alta la guardia.
La solidarietà internazionale è la nostra forza.
Un mese fa abbiamo gioito con le compagne messicane alla notizia della depenalizzazione dell’aborto in tutto il Paese.
L’illegalità e le ripercussioni per chi abortisce non sono uguali in tutti i paesi e non vogliamo fare un discorso che appiattisce le esperienze nell’Est Europa, in Africa o in Sud America. Le differenze e le difficoltà sono dolorosamente variegate. Ma sappiamo anche che le pratiche di mutualismo sono tante, a volte invisibili e a volte inascoltate. Il nostro pensiero va a tutte le persone che in ogni parte del mondo con i propri mezzi e con rischi diversi riescono ad autodeterminarsi in pratiche di sorellanza e resistenza. Ci sono gli ostacoli dettati da regimi reazionari e gli ostacoli dettati dalle condizioni legate alle migrazioni e alle guerre: abortire quando si è persone in fuga o si cerca di sopravvivere a una guerra è una condizione che vogliamo nominare e rendere anche solo per un momento visibile. Praticare la solidarietà internazionale vuol dire creare relazioni con le compagne che sono al di là delle nostre insaguinate frontiere ma significa anche praticare un antirazzismo che distrugga il privilegio bianco di classe paternalista che parassita sulle disgrazie altrui.
La nostra solidarietà deve essere più forte dei confini nazionali.
ABBIAMO SEMPRE ABORTITO E SEMPRE ABORTIREMO, QUINDI PRETENDIAMO UN ABORTO LIBERO, SICURO, E GRATUITO OVUNQUE!
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