PERCHE’ DI VIOLENZA NON SI MUOIA, MA NEANCHE SI VIVA!!*

PERCHE’ DI VIOLENZA NON SI MUOIA, MA NEANCHE SI VIVA!!*

Alcune considerazioni sul DDL sul femminicidio, a lato del 25 novembre

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Nei media:

Femminicidio, violenza di genere, stalking…. Solo alcuni anni fa il significato di queste parole era sconosciuto a molti. Adesso, invece, non c’è settimana in cui non si legga sui giornali di un caso di violenza domestica o extra-domestica. E’ forse un fenomeno nuovo, attualmente in espansione? Nient’affatto, semplicemente se ne inizia a parlare. Bene, si direbbe, finalmente. Ma in che termini ne parlano i media? Come di un fenomeno emergenziale, legato soprattutto ad alcuni prototipi di uomo-carnefice, solitamente straniero o portatore di culture “altre”.

Non se ne parla, purtroppo, come di un fenomeno strutturale, presente da millenni nella nostra cultura. Una cultura cattolica, patriarcale e machista, che da sempre mette le donne in una posizione di sottomissione e che solo negli ultimi tempi sta lentamente (ma molto lentamente…) iniziando a cambiare. I media tendono a portare la violenza di genere sul giornale solo quando la donna è morta, stuprata o gravemente ferita. Non parlano mai delle migliaia di donne che ogni anno si sollevano e si liberano da una relazione di violenza: morte si ribelli mai. Ben venga che si parli di questo triste fenomeno, ma i mezzi di informazione non brillano di inventiva e in poco l’immagine di una donna che perde sempre si è rinforzata il che sicuramente non aiuta in un cammino emancipatorio.

La narrazione mediatica della violenza tende da una parte a creare una concezione della donna eterna vittima, incapace di ribellarsi e dall’altra a non concepire la violenza in quanto tale se non portata allo stremo. Probabilmente, se si parlasse un po’ di più della violenza di genere “comune”, che sia fisica, psicologica, economica, e la si condannasse al pari di ciò che si fa per il femicidio, si contribuirebbe a trasmettere una condanna della violenza tout court e non solo nei casi più gravi. Si limiterebbe, in altre parole, l’idea che “in fondo uno schiaffo ogni tanto non è violenza” e che “se vai in ospedale, allora, è un’altra cosa”. Si inizierebbe a diffondere l’idea che spesso, prima dell’ospedale, c’è proprio quell’intimidazione o quello schiaffo visto da molti come irrisorio incidente di percorso.

Il nuovo Ddl:

In questo contesto si inserisce il nuovo Disegno di Legge approvato dal parlamento, provvedimento che inserisce alcune timide ma significative novità per quanto riguarda la violenza di genere. Novità che vanno a toccare tre fronti: quello giuridico, quello dell’intervento culturale educativo e quello dell’intervento socio-assistenziale. Anche qui “Bene!” si direbbe. Ma anche qui c’è qualcosa che tocca.

Prima fra tutte il fatto che all’interno dello stesso Ddl, oltre a quelli in materia di violenza di genere, siano presenti provvedimenti volti a colpire chi lotta sui territori. Nel disegno di legge, infatti, si istituisce la possibilità di utilizzare militari per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, tra i quali il cantiere dell’Alta Velocità di Chiomonte. Risulta lampante come ancora una volta un tema quale quello della violenza di genere sia stato utilizzato in modo strumentale per far passare politiche repressive e securitarie.

Il Ddl pone inoltre l’accento su quanto all’interno della scuola, la violenza di genere sia un tabù e di come sia indispensabile una formazione del corpo docente che abitui gli insegnanti a parlare di violenza con i/le bambin*. Oltre agli/le insegnanti il Ddl punta ad intervenire sulla formazione degli operatori dei media. Tutto ciò su carta sembra un bel passo avanti: finalmente a scuola si parlerà di femminicidio, sperando, ovviamente, che la formazione in questione sia fatta da persone competenti, che non propongano una concezione di donna quale vittima impotente e che offrano strumenti concreti a insegnanti spesso impreparati ad affrontare le situazioni di violenza che sfiorano all’interno delle aule scolastiche.

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