Racconto del 27-12-2015

Ho capito che ero rimasta incinta prima del test
quando quelle due maledette linee si sono colorate, tremavo
ho aspettato cinque minuti. poi altri cinque. ho ricontrollato sperando in un errore
ma dentro di me lo sapevo da un po’. ho imparato a leggere il mio corpo

la prima persona con cui l’ho condiviso è stata C., vicinissima amica
singhizzavo.
non invitata, mi è apparsa nella testa l’immagine di me di lì a poco con un piccolo essere tra le braccia: il mio stesso corpo si è sottratto a quell’immagine.
era un no: non ora. non mamma
non voglio
non posso riconoscermici ora.
questa convinzione che mi veniva dalle viscere mi ha sostenuto: non era un’idea che mi veniva da discorsi già fatti. l’ho sentita profondamente
si radicava in me tutta. sentire che volevo scegliere, e farlo come volevo.
è stato tutto frenetico all’inizio: la corsa in Consultorio con C, capire che il test non poteva aver sbagliato, vedere il calendario delle gravidanza che l’infermiera teneva tra le mani, giocherellarci senza volerlo. la fine dei nove mesi cadeva in giugno:non ci sarebbe stata. Lì mi è caduta addosso la tristezza, la grandezza di quello che mi stava succedendo. ho trovato un’infermiera molto sensibile che mi ha guardato prendermi la testa tra le mani senza fare nessuna pressione. solo molto rispetto, che era la cosa migliore che poteva darmi.
ho preso appuntamento in fretta per la visita, se mi sbrigavo avrei potuto evitare l’intervento.
tornare, raccontarlo alla persona con cui sto, compartecipe nella formazione di ciò che si trovava nel mio utero: lui sta lontano, le frontiere lo bloccano, arriverà un mese dopo. questo è stato doloroso da vivere a distanza, da un lato; però forse mi ha permesso di decidere tutto con calma ascoltandomi completamente, dandomi tempo, e di viverlo in simbiosi con delle amiche che si sono strette intorno a me, sorelle con cui ho potuto cucinare torte, scherzare e giocare a carte subito dopo averlo condiviso, con cui abbiam dormito insieme, tre nello stesso letto, quando solo avevo bisogno di abbracci e di calore.
perchè comunque il mio corpo sentiva questo che gli stava capitando
io mi sentivo fragile
mi ritrovavo con le mani sulla pancia, a proteggerla senza volerlo. l’ho spiegato alle mie amiche: non odierò questa parte del mio corpo 
se ne deve andare ma non voglio sia gettata come un rifiuto
alla prima visita vado con F e C, mi accompagnano e per fortuna, così mi sostengono mentre mi scontro con la stronza vecchia che mi fa il “colloquio” e che palesemente è antiabortista, non accetta che io possa scegliere di non diventare madre.
“nel questionario non è prevista l’opzione non lo voglio. mi dica lei adesso cosa dovrei barrare io. lei è grande e potrebbe tenerlo un figlio dunque non rientra nei casi per l’interruzione, che sono solo per gravi motivi”
“non è vero. io non lo voglio, è il mio corpo di cui stiamo parlando, non serve sapere nulla di più”
avrei voluto sputarle in faccia e allo stesso momento ero molto sicura di quello che avevo deciso, non mi ha smosso neppure di un millimetro, nè le mie amiche. e mi sentivo bene perchè loro erano lì con me.
poi il dottore, poi subito all’Ospedale Maggiore perché i tempi per la farmacologica sono stretti. non così stretti, nel mio caso, da non lasciarti il tempo per capire e pensare a quello che ti sta succedendo: avevo ancora dei giorni prima dell’ecografia.
quanto abbiamo parlato con C e F quel giorno..e questo serve, serve poterne parlare per spiegarlo ancora meglio a sè stesse, per condividerlo con loro perchè è qualcosa che riguarda noi tutte, l’obbligo o il rifiuto della maternità, il non voler crescere una persona riproducendo ciò che nella famiglia tanto ci ha fatto male, pensare se mai volessi essere madre a un contesto collettivo impossibile nella nostra vita troppo precaria attuale.
e non volerlo ora, dove l’avremmo cresciuto in due
io e lui. non è ciò che voglio
. e non l’avrei scelto io, in questo caso. 
io scelgo questo.
mi sono lasciata giorni di tranquillità e solitudine, di bisogno di sostegno, di vita che poi continua, di pensare anche ad altro
e poi alla fine ho preso il mifepristone il giorno del mio compleanno.
due giorni dopo era il momento del misoprostol, sono stata tutta la mattina in ospedale, è stata dura perchè avrei tanto voluto essere nel mio letto, con le mie amiche attente, invece ero sola, non fanno entrare nessuno.
però almeno il mio corpo ha espulso tutto il più autonomamente possibile
e io ero sveglia, cosciente e partecipe. così volevo fosse.
poi mi son venute a prendere e ancora un volta mi son rifugiata nella sorellanza: fuori c’era il sole, ho respirato, mi sentivo nuova da una parte, ci ho sentite incredibilmente unite in quel momento.
sono passati i giorni.
prima ecografia di controllo. rimangono dei residui. mi son dovuta impasticcare per una settimana: ma alla seconda ancora i coaguli non se n’erano andati. l’isteroscopia è stata un po’ dolorosa, però ho potuto ammirare il mio utero dall’interno, mentre ancora cercavo di ignorare il fatto che si stava avvicinando quello che dall’inizio avevo cercato di evitare, l’intervento.
me l’hanno fissato per il giorno successivo; nel frattempo è riuscito ad arrivare K, la persona con cui sto, e la mattina dopo mi hanno accompagnato lui e F
non ci credevo quando ho dovuto indossare quel camice bianco
mai nei miei 25 anni ero stata operata, prima di quel momento
mi sono sentita così indifesa, obbligata ad abbandonarmi a mani che non mi conoscevano
poi quando mi trasportavano nel lettino, sostanzialmente ignorandomi, i miei piedi spuntavano e avevo freddo,
mi sono chiesta come avrei potuto evitarlo, se poteva essere altrimenti: ma no, ho avuto solo sfortuna, e sì, rimango convinta di tutto, anche su quel lettino.
  mi sarebbe solo piaciuto che l’infermiera sorridesse e mi spiegasse bene dove mi stavano portando e i passi di quello che mi sarebbe successo
ma è chiedere troppo, sembra.
entrata nella sala operatoria, luci multicolori abbaglianti, facce che iniziano a parlare chiaramente sono solo un corpo da lavoro
devo aprire le gambe divaricarle tantissimo – su dei cavalletti freddi simili a una punizione
più in giù il bacino più in giù
mentre alle quattro estremità mi afferrano, mi toccano mi tirano io ovviamente non posso oppormi e non devo
ma mi sento così violentata da questo modo rude e sbrigativo di fare le cose
solo l’anestesista mi parla rivolgendosi a me come ad una persona e non solo come ad un burattino a cui ordinare di muovere le sue parti
“devi respirare e star tranquilla, mi senti? devi stare tranquilla”
e io respiro ma mi chiedo come faccio a stare tranquilla con quelle gambe aperte al freddo, la vagina trema di paura
ho paura che entrino senza che io sia addormentata
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mi risveglio stesa sul lettino
è andato tutto bene, non sento nemmeno dolore
continua a farmi arrabbiare l’istituzione ospedale, ancora più adesso che mi ci sono scontrata col corpo
però arrivano F e K a prendermi, mi abbracciano e appena usciamo ci prendiamo un chilo di gelato
a casa cado addormentata tra le braccia di K, dormirò molte ore, cullata
ora devo ancora fare l’ultima visita
sento che questo mi ha segnato ma è un segno di forza anche, e non appartiene solo a me
mi ha attraversato il corpo ma ci siamo strette in tante
può riguardare ognuna di noi
io ho scelto, e l’importante è stato non essere sola e poter fare ciò che ho deciso.
vorrei averlo potuto nascondere ancora meno,  
non trovare stronze in ospedale e infermiere che parlavano sottovoce come se mi dovessi vergognare
raccontare questa storia senza nessuna paura a chiunque, anche alla mia famiglia cristiana che non lo saprà
ma questa è una lotta che continua.

Arro Z.

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