Se recentemente il femminismo è stato in grado di trasformarsi in un movimento intersezionale che lotta per i diritti di tutte le persone che non rientrano nella categoria uomo bianco ed eterosessuale, allo stesso modo le forze conservatrici e ultra-cattoliche hanno trovato il modo di formare un blocco compatto contro l’aborto, contro l’autodeterminazione delle donne e contro i diritti delle persone LGBTQ+ e la cosidetta teoria gender.
Oggi assistiamo all’alleanza tra antiabortisti, nogender e gruppi di estrema destra, e ne avremo l’esempio più chiaro l’ultimo weekend di marzo, quando, a Verona, si riuniranno nel XIIIWorld Congress of Family i maggiori esponenti per la protezione della famiglia cosiddetta naturale e l’abolizione della possibilità di abortire.
Solo per citarne alcuni, tra i partecipanti ci saranno Ignacio Arsuaga, presidente di Citizengo e ideatore dei pullman arancioni transfobici che abbiamo visto passare anche nella nostra città; Brian Brown, statunitense fondatore dell’organizzazione internazionale per la famiglia; Katalin Novak, ministra della famiglia in Ungheria.
Fatto ancora più grave è che saranno presenti tre ministri del governo Conte: il ministro della famiglia Fontana, il ministro dell’istruzione Bussetti e il ministro dell’interno Salvini. E se si pensa che l’organizzazione italiana è stata affidata a Pro Vita e all’associazione Generazione famiglia, organizzatrice dei Family Day, il legame fra antiabortisti,no gender, estrema destra e governo è lampante.
Ma non è una questione solo italiana, il diritto all’aborto viene attaccato in tutta Europa da aggressive campagne mediatiche dell’associazionismo anti-scelta, i cosiddetti pro-life. Associazioni per la vita? Più che altro associazioni che negano il diritto ad una vita autodeterminata. Esse impongono la maternità come destino ineluttabile, non come possibilità, non come scelta. Queste organizzazioni sono ferocemente anti-scelta, bisogna ribadirlo con forza!
Ma chi sostiene queste associazioni? Recenti inchieste hanno documentato che sono generosamente finanziate da oligarchi russi e circoli statunitensi ultra-conservatori. In Spagna, Francia, Ungheria, Polonia, Italia una nuova generazione di attivisti sta portando avanti una «crociata in nome dei valori cristiani» agendo soprattutto nelle retrovie dei palazzi dell’Unione Europea. Pericolosissimo è il rinnovamento del linguaggio per dare un’immagine positiva delle loro idee reazionarie: molti meno crocifissi con feti e immagini di santi rispetto al passato, molti piu’ discorsi profondamente ambigui sui diritti, sull’amore e sull’empowerment, molte meno preghiere, molte piu’ manifestazioni colorate, ostentatamente gioiose e abilmente pubblicizzate a livello di marketing, fino al riutilizzo di slogan storicamente femministi, come ”Tremate, tremate, le famiglie son tornate”. In alcuni paesi come Polonia, Portogallo e Ungheria associazioni e partiti ultraconservatori hanno trovato appoggio e sostegno parlamentare, riuscendo ad introdurre norme restrittive sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Le cronache recenti ci fanno riflettere:
La Polonia consente l’aborto solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, stupro e grave malformazione del feto. In febbraio il parlamento ha respinto una proposta di legge che avrebbe consentito una minima estensione del diritto ad abortire e rimandato una seconda proposta per proibire l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto. Quest’ultima sarà quindi nuovamente discussa, a fronte della bocciatura della prima. Il leader del movimento anti-scelta polacco ha detto ai parlamentari di non volere che «gli ospedali si trasformino in macelli». Il presidente del partito di governo ha detto che si sforzerà «di assicurare che, anche in caso di gravidanze molto difficili, quando è sicuro che il bambino morirà o nascerà fortemente deformato, le donne finiscano col partorire in modo che quel bambino possa essere battezzato, sepolto e avere un nome». Ancora: nonostante una direttiva europea abbia recentemente liberalizzato l’accesso alla contraccezione di emergenza, la Polonia ha legiferato nel merito così che per ottenere la pillola del giorno dopo oggi è necessaria la ricetta del medico, che può avvalersi dell’obiezione di coscienza.
In Spagna nel 2010 è stata approvata una legge che ha definito l’aborto un diritto della donna. Da allora si sono susseguite campagne, numerosissime manifestazioni e proposte di legge aventi come unico obiettivo quello di restringere la possibilità di abortire ai casi di stupro, di malformazioni fetali o di problemi di salute della madre, oltre che l’obbligo per le adolescenti di 16-17 anni di ottenere il consenso dei genitori. Attacchi che per ora non hanno avuto successo ma che hanno trovato l’appoggio del Partido Popular che era al governo.
Il Portogallo nel 2015 ha approvato una legge molto restrittiva sull’aborto, che prevede l’introduzione di una “tassa” da pagare per l’interruzione volontaria della gravidanza (prima di allora era gratuita) e l’obbligo da parte della donna di consultare psicologi e assistenti sociali prima di decidere di abortire.
In Italia il ministro della famiglia Lorenzo Fontana, appartenente alla comunità neocatecumenale, vicesegretario della Lega e amico personale di Matteo Salvini, nella sua prima intervista da ministro ha dichiarato che una delle priorità del suo mandato è l’aumento della natalità in Italia e il contrasto all’aborto, di voler intervenire per potenziare i consultori così da cercare di dissuadere le donne dall’abortire. Era il 1 giugno 2018.
Il 5 ottobre 2018 passa a Verona, città natale del ministro, una mozione antiabortista che dichiara Verona “città a favore della vita” e finanzia associazioni cattoliche che mettono in campo iniziative contro l’aborto. Sarà la prima, ma non l’ultima. Leghisti e integralisti cattolici che si annidano in forze politiche di destra, centro destra e “autonomiste” proporranno le stesse mozioni nei consigli comunali di Milano, Roma, Ferrara, Genova e molte altre. Non tutte sono state approvate, ma è chiaro come il contrasto all’aborto sia diventato una priorità per le forze di governo.
Nel maggio 2018 sono apparsi sui muri di Roma manifesti provocatori ad opera del gruppo conservatore Citizengo, con UN ABERRANTE PARAGONE FRA associazione tra aborto e femminicidio.
Fratelli d’Italia ha da poco presentato una proposta di legge alla regione Lazio, che pare precederebbe dello stesso atto alla Camera per rendere obbligatoria sia la sepoltura dei feti che l’informazione dei genitori su tale possibilità, perché la regione possa diventare «un modello sul tema della custodia dei valori spirituali».
L’attacco all’aborto rientra in un piano più grande: destre e ultracattolici si uniscono nel sogno di una stato reazionario dai tratti teocratici, in sostegno alle politiche neoliberiste. Dio, patria e famiglia. Forza Nuova e compari minacciano fisicamente le iniziative nelle scuole che promuovono un’educazione sessuale e alle differenze?. Il decreto sicurezza ostacola la permanenza e l’integrazione dei migranti, promuovendo odio razzista e xenofobia. Il ddl Pillon attacca i diritti delle donne e dei minori, soprattutto nei casi di violenza domestica. E nel parlamento ci si organizza anche creando un intergruppo parlamentare dal nome che sembra una minaccia: “Vita, famiglia e libertà”: 150 parlamentari di vari partiti, compreso il M5S, fra cui Pillon e lo stesso Gandolfini, per limitare l’accesso all’aborto e rilanciare la famiglia tradizionale dicono loro, patriarcale oppressiva diciamo noi.
Ma noi siamo sempre qua e non arretreremo di un centimetro.
Da tempo rivendichiamo con forza un sistema sanitario che ci faccia partorire, abortire, ci curi, che sia realmente pubblico, accessibile, laico e non legato al permesso di soggiorno.
Esigiamo l’abolizione dell’articolo 9 della 194, che ancora oggi impedisce a milioni di donne di abortire a causa dell’obiezione di coscienza.
Pretendiamo la destigmatizzazione delle donne che non scelgono di conformarsi al ruolo di moglie e madre, neanche nella versione neoliberista, che ci vuole lavoratrici sfruttate, consumatrici e madri a tempo pieno.
Pretendiamo gli strumenti per la nostra autodeterminazione, rivendichiamo spazi necessari alla nostra autodeterminazione fuori dalle dinamiche delle convenzioni comunali.
Esigiamo più consultori, che devono essere autogestiti da donne e da alleati femministi.
Pretendiamo che l’accesso a un aborto libero sicuro e gratuito sia garantito anche alle donne migranti.
Vogliamo essere libere dalle logiche del lavoro salariato ed essere libere di scegliere il lavoro che preferiamo oltre i pregiudizi.
Vogliamo la decriminalizzazione e la fine dello stigma per le sexworkers.
Vogliamo scuole pubbliche che non siano aziende, che siano liberate dagli stereotipi di genere, da discriminazioni e dalle ingerenze cattofasciste.
Vogliamo la fine di ogni tipo di violenza sulle donne e sulle altre persone che subiscono le oppressioni del patriarcato.
E’ per questo che siamo qui oggi e il 29- 30 e 31 marzo saremo tutte a Verona per una tre giorni femminista, e per ricordare che sui nostri corpi, sulle nostre vite decidiamo solo noi.