Aborto, femminicidi, no gender

Il 26 giugno 2020 durante la piazza di Non una di Meno a Bologna e il 27 giugno 2020 durante il B-side pride abbiamo letto dei comunicati che qui riportiamo

Aborto:

Siamo le Mujeres Libres, un collettivo femminista, facciamo parte da tanto del movimento nudm, dalla nascita il collettivo ha portato avanti, tra le altre, la lotta per garantire l’ accesso ad un aborto sicuro e gratuito. Durante la pandemia abbiamo costantemente monitorato la possibilità di accesso all’ interruzione volontaria di gravidanza negli ospedali di Bologna.
A Bologna il servizio èstato svolto solo al Maggiore e sospeso invece al Sant’Orsola.
Oltre al monitoraggio della situazioneabbiamo anche offerto supporto diretto alle persone che siritrovavano a dover affrontare un’IVG.
Le informazioni che abbiamo raccolto sono risultate discordanti: l’accesso alla procedura è stato semplificato ma questo iter non è mai stato ufficializzato.
Quindi se è possibile semplificare i passaggi appare quindi evidente che l’unico ostacolo per snellire le procedure è di natura politica.

L’aborto è un servizio essenziale, deve essere erogato con professionalità e evitando di allungare i tempi di attesa. Perciò vogliamo che questa procedura venga seguita e “ufficializzata” anche al rientro dell’emergenza sanitaria.
Invece, in alcune parti di Italia accade esattamente il contrario. La regione Umbria, guidata dalla leghista Tesei, sostenuta da vari esponenti della galassia anti scelta e pro life, primo fra tutti pillon, ha imposto l’obbligo di ricovero ospedaliero di tre giorni per le donne che sceglieranno di abortire con il metodo farmacologico. Mentre in altri paesi d’Europa, come Francia e Inghilterra, le procedure incentivano il teleaborto o la semplificazione dei passaggi, in Italia si applicano nella maggior parte delle regioni le linee guida che indicano il ricovero ospedaliero.
La presidente della regione Umbria dichiara che questa decisione è stata presa nell’interesse della salute delle donne: una spudorata menzogna, dal momento che le evidenze scientifiche dimostrano che l’aborto farmacologico è una procedura sicura, a bassissimo rischio. Invece in questo momento è alto il rischio di recarsi in ospedale. Il ricovero ospedaliero non serve, è un ostacolo ulteriore per le donne e in questo periodo un rischio per la nostra salute, per la comunità ha pagato un gravoso tributo di vittime per il sovraccarico e l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere pubbliche. Non fate altro che dirci che non ci sono soldi per la sanità e per i servizi, e poi volete tenerci in ospedale tre giorni impiegando personale e risorse che potrebbero essere indirizzate verso un reale bisogno?

Sappiamo bene che ci sono grosse reticenze per garantire l’accesso all’aborto farmacologico, chederivano da una presa di posizione politica, ideologica e religiosa, (la stessa per la quale ancora oggi il 68,4% dei ginecologi sono obiettori) di chi mira a negare il diritto alle donne di poter decidere sulla loro salute riproduttiva e sulle loro vite.
Intanto, in toscana, la giunta regionale ha approvato una risoluzione che attesta l’impegno nell’implementare la possibilità di abortire col metodo farmacologico, fra cui quella di aumentare la possibilità di somministrazione della Ru486 fino alla nona settimana, come già avviene in molti paesi europei, e la possibilità di abortire in consultori. Queste sono due delle rivendicazioni che appoggiamo e sosteniamo, Ciò è stato possibile grazie alla presenza di nudm in quel territorio, il monitoraggio, la spinta politica dal basso verso libertà ed autodeterminazione. Questa è una notizia positiva che mostra speranza per un’inversione di tendenza rispetto alle politiche antiabortiste; ma non ci basta! Vogliamo l’attuazione concreta di queste misure e la loro estensione su tutto il territorio nazionale! Vogliamo gli obiettori fuori dagli ospedali!

Anche qui a Bologna non siamo esenti dalla violenza che esercitano sui nostri corpi i medici e il personale sanitario obiettore, i tempi sono lunghi, le informazioni spesso sono scarse e alle volte incontriamo l’ostilità di chi pensa di avere diritto di giudicare le nostre scelte.

Rilanciamo le rivendicazioni della Rete Pro-choice al ministero della salute e chiediamo

-eliminazione della raccomandazione per il ricovero ospedaliero per la ru486

-assunzione della ru fino alla nona settimana

-la possibilità di effettuare l’aborto farmacologico nei consultori, che devono tornare ad essere spazi femministi, liberi da pregiudizi

-in relazione allo stato di emergenza l’ammissione di una procedura da remoto, monitorata da servizi di telemedicina

-accorpare le visite in un unica giornata.

Vogliamo poter abortire in sicurezza e tranquillità nelle nostre case, per non esporci inutilmente al rischio del contagio in ospedale e per riconquistare una maggiore autonomia sui nostri corpi. Vogliamo finalmente esercitare liberamente le nostre scelte, senza essere ospedalizzate quando non strettamente necessario.

Ricordiamo ancora una volta che come mujeres libres offriamo il nostro sostegno emotivo e pratico a tutte le persone che ce lo richiedono.

La solidarietà femminista è forte e necessaria!

juntàs somos màs fuertes!

Femminicidi

Abbiamo assistito ad una gestione dell’emergenza  sanitaria che si è focalizzata solo sul contenimento della pandemia, senza occuparsi dei danni collaterali che il lockdown ha prodotto sulla vita di molte donne. Donne obbligate alla detenzione/convivenza con uomini violenti, e come loro tantissime altre soggettività non conformi.

Proprio quest’anno che ha visto il tentativo di chiusura di lucha y siesta struttura di ospitalità per donne e bambinx in fuoriuscita da situazioni di violenza e abusi.

32 sono le donne uccise dall’inizio del 2020, e tutti i giorni veniamo a conoscenza di donne picchiate, maltrattate e sopravvissute alle violenze.

Le chiamate ai centri antiviolenza sono aumentate del 75% circa.

Questi dati non fanno altro che rimarcare quello che diciamo da tempo oramai: la violenza è strutturale e sistemica, ed è diretta espressione della violenza maschile che pervade ogni ambito della nostra società. La violenza patriarcale ha moltissime espressioni che spesso sono banalizzate e normalizzatesoprattutto dalle istituzioni.  Abbiamo preso parola per sottolineare che vogliamo e dobbiamo continuare ad attraversare le strade, bisogna continuare a contrastare  la violenza di genere e del genere. Portare tutte queste donne nelle nostre lotte. La soluzione non è una maggiore militarizzazione delle strade, la soluzione è scuotere le fondamenta di una società patriarcale. La violenza di genere e del genere è un dispositivo di controllo funzionale a un certo tipo di produzione e riproduzione sociale, familista, basata sull’ eterosessualita obbligatoria. Per questo rivendichiamo reti di sorellanza, reti femministe, transfemministe queer, i centri antiviolenza. Rafforzare queste reti vuol  direrafforzare la lotta alla violenza strutturale.

Le 32 donne uccise da uomini violenti solo questo anno sono:

Carla Quattri Bossi
Concetta Di Pasquale
Fausta Forcina
Maria Stefania Kaszuba
Ambra Pregnolato
Francesca Fantoni
Rosalia Garofalo
Fatima Zeeshan
Rosalia Mifsud
Monica Diliberto
Speranza Ponti
Laureta Zyberi
Anna Sergeevina Marochkina
Zdenka Krejcikova
Larisa Smolyak
Barbara Rauch
Bruna Demaria
Rossella Cavaliere
Lorena Quaranta
Gina Lorenza Rota
Viviana Caglioni
Maria Angela Corona
Alessandra Cità
Marisa Pireddu
Zsuzsanna Majlat
Maria Drabikova
Mihaela Apostolides
Gerarda Di Gregorio
Rubina Chirico
Giuseppina Ponte
Cristina Messina
Paola Malavasi
Non chiediamo di fare un minuto di silenzio per queste donne,  vogliamo dare voce al dolore  e alla rabbia.

No Gender

Negli interventi che ci hanno precedute si sono nominati varie volte i cosiddetti gruppi No Gender.

Anche noi pensiamo che sia importante parlarne perché qua non si tratta di un gruppo di reazionari folcloristici, bensì di una rete ben strutturata radicata a livello internazionale. Sono ovunque.

È ora di prenderli molto seriamente: sono ben finanziati, parliamo di miliardi di dollari provenienti da fondazioni legate a patriarchi russi, ricchi imprenditori, campagne di croud founding internazionale, gruppi religiosi cristiano evangelisti e persino fondi pubblici.

Negli ultimi 30 anni hanno costruito una struttura che va ben oltre la comunicazione e la pressione politica, ma che consiste oggi in scuole di giurisprudenza per formare avvocati anti gender e che erogano borse di studio; hanno uffici in tutti i centri decisionali politici in Europa, a Bruxelles, Strasburgo, fanno meeting internazionali segreti in cui si danno delle linee guida da attuare nel lungo periodo ognuno nel proprio territorio.

Non è solo una questione religiosa, ma è anche legata al profitto, perché l’ordine eteropatriarcale è quello che consente la riproduzione capitalistica: è al profitto che serve un mondo di famiglie tradizionali individualiste che producano e si riproducano. Ci sono imprenditori che pur non essendo estremisti religiosi vedono comunque nell’ordine patriarcale e capitalista l’opportuinta per mantenere lo status quo che consente loro di fare profitto.

In Italia questa gente si chiama Pillon, Gandolfini, Por Vita E Famiglia, è attiva dentro La Lega, Fratelli d’Italia, Forza Nuova, Casa Pound, hanno una scuola per formare “gladiatori cristiani” in un monastero medievale a Trisulti che il Ministero dei Beni Culturali ha praticamente regalato loro: sono nazionalisti razzisti sovranisti cattofascisti e continuano a mobilatarsi.

L’11 luglio saranno in moltissime città italiane per difendere il loro diritto ad essere omolesbobitransfobici. Saranno anche a Bologna. Noi invitiamo tuttu a mobilitarsi, facciamo capire a questa gente che noi esisteremo sempre e comunque, saremo libere nonostante tutto e ovunque andranno noi ci saremo a rovinare tutto.

Non avranno mai spazio e non avranno mai tregua!

Fuori i cattofascisti dalle nostre esistenze!